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  • Marcello Tota

Wabi sabi


[...] Il termine wabi-sabi è composto da due vocaboli distinti, dal significato piuttosto sfuggente.

“Wabi” suggerisce un concetto di bellezza discreta, generata dalla presenza di un’imperfezione naturale o introdotta in modo casuale dai processi di lavorazione artigianale, ma mai simbolica e intenzionale. Una bellezza viziata dalla presenza di difetti naturali considerata, paradossalmente, perfetta.

“Sabi” sottintende un’idea di bellezza legata al passare del tempo, che può manifestarsi solo in seguito all’usura e all’invecchiamento, come può accadere per le rughe che solcano il volto di un uomo, o la patina che ricopre inevitabilmente gli oggetti che usiamo.

[...] Il wabi–sabi, profondo e multidimensionale, considera i reami più sotterranei dell’esistere trascendendone la mera apparenza, e trae dalla natura le sue tre lezioni fondamentali: nulla è perfetto – nulla è permanente – nulla è completo. La bellezza è quindi intimamente intrecciata con l’imperfezione e la caducità delle cose.

[...] Contrapponendosi alle concezioni occidentali, il wabi–sabi intende la bellezza come un evento silenzioso e dinamico: essa può rivelarsi in modo inatteso, come uno stato alterato della coscienza che ci permette di scendere inaspettatamente a patti con ciò che fino a quel momento consideravamo brutto. Lo si potrebbe definire un esercizio volontario di inversione percettiva. Non a caso, gli oggetti wabi-sabi sono spesso visti come “rustici“, perché così appaiono a un primo impatto: asimmetrici, rozzi, semplici, realizzati con materiali naturali, con superfici ruvide e irregolari, e di colore non uniforme.

[...] Occorrono sensibilità ed esperienza per essere in grado di apprezzarne pienamente il valore estetico.

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